
La città di Torino viene occupata dalle truppe tedesche il 10 settembre 1943, senza alcuna opposizione da parte dell’esercito italiano. Ciononostante, i militari germanici rastrellano i soldati italiani in fuga, uccidono sospetti oppositori e compiono violenze gratuite, provocando la morte, in un paio di giorni, di 49 persone, e il ferimento di altre 93.
Malgrado l’immediata repressione praticata dagli occupanti, a Torino si organizza subito una forte Resistenza che costringe nazisti e fascisti a schierare un imponente apparato repressivo. Le varie polizie della Repubblica di Salò sono onnipresenti in città, coadiuvate da forti reparti militari. La repressione è particolarmente brutale: i partigiani arrestati, dopo essere stati torturati nelle diverse carceri, vengono impiccati nelle piazze per terrorizzare la popolazione.
Il comando militare tedesco riferisce:
Le esecuzioni pubbliche di 6 ribelli in due piazze pubbliche della città di Torino hanno avuto un effetto contrario a quello atteso. L’opinione della popolazione era che si potesse eventualmente impiccare appartenenti a popolazioni coloniali ma che applicare questo tipo di esecuzione capitale ad appartenenti a un popolo con un’antica cultura fosse un atto di barbarie medievale. Stranamente anche in questo caso il forte odio si è rivolto contro i fascisti. [rapporto della Militärkommandantur 1005 per il periodo dal 25 luglio 1944 al 14 agosto 1944, in Bundesarchiv, Militärarchiv Freiburg, RH 36/469]
Come in tutte le città sotto il governo della RSI, i protagonisti della repressione sono i funzionari del ministero dell’interno (prefetti, questori, commissari di polizia), i militi della GNR, gli appartenenti alle varie bande e a reparti dell’esercito, nonché la polizia e le SS tedesche.
La polizia italiana è agli ordini della prefettura e della questura. Alla carica di prefetto si avvicendano vari personaggi. Il più noto è Emilio Grazioli, un fascista di vecchia data che ha già ricoperto importanti incarichi durante il ventennio. Anche in questura si avvicendano alcuni funzionari, l’ultimo dei quali è Emanuele Protani, che verrà fucilato dai partigiani il 29 aprile 1945.
Il comando fascista che più fa paura ai torinesi è quello dell’Ufficio politico investigativo della Guardia nazionale repubblicana, con sede in una caserma di via Asti. Qui i fascisti portano i loro prigionieri, che vengono regolarmente torturati.
Il principale comando tedesco si installa, invece, all’hotel Nazionale, in via Roma, e lo stesso nome dell’albergo diventa presto sinonimo di terrore. Il comandante è Alois Schmidt, che ha a disposizione uno staff di circa 30 persone. Nel Nazionale sono installate una prigione e delle camere di tortura. Schmidt utilizza largamente i collaborazionisti italiani, tra i quali Renato Fracchia, che si specializza nella ricerca e nell’arresto di ebrei.
Nel 1938 la comunità ebraica di Torino contava circa 4.000 persone, delle quali un migliaio è, nel 1943, ormai convertito al cattolicesimo. I primi arresti di ebrei, 11 persone, vengono effettuati il 27 ottobre 1943. Il 1° dicembre successivo, a seguito dell’ordine di polizia n. 5, 20 anziani sono rastrellati in un ospizio di via Como. Cinque persone si suicidano in seguito a questo ordine.
Nel periodo successivo non avvengono rastrellamenti di massa. Gli arresti sono effettuati singolarmente da parte della polizia italiana e dai tedeschi sulla base di delazioni. Gli autori di queste ultime sono spesso criminali comuni che si mettono a disposizione del comando di via Roma per arrestare gli ebrei e incassare una ricompensa, come risulta da un rapporto del questore dell’epoca:
L’11 aprile scorso i pregiudicati B. Giovanni di E., P. Eugenio fu F. e S. Osvaldo di L., i primi due più volte condannati per reati contro la proprietà e per associazione a delinquere e da alcuni mesi assunti tra i connazionali assoldati nelle SS del locale Comando Germanico del servizio di sicurezza, si portarono in corso Vittorio Emanuele […], nell’abitazione dell’ebreo Foà Raffaele, affetto da infermità, per arrestarlo contro le precise disposizioni vigenti in materia razziale. Alle preghiere della moglie del Foà, ariana cattolica, che li supplicava di non angustiare un povero vecchio malato, essi con truculenza puntarono contro di loro la rivoltella e misero a soqquadro l’alloggio per impadronirsi di quanto potesse tornare loro utile. Ciò dopo che sotto le minacce il Foà e la moglie avevano dato 20 mila lire, per non ricevere male. [Archivio di Stato di Torino, Corte d’Assise di Appello, Sezione speciale, b. 269, fascicolo “Salvetto Osvaldo”, rapporto del Questore Borntraeger, del 14 giugno 1944]
Da una relazione della prefettura di Torino del dopoguerra emerge:
Si sono avuti in Torino dopo il 1° dicembre 1943 e fino all’aprile del 1945 casi particolari interessanti e tragici, coll’arresto di poveri mendicanti ebrei, di vecchi malati ricoverati in cliniche ed ospedali, il tutto a seguito di denunce di persone abbiette e prezzolate, quasi tutti gli alloggi degli ebrei vennero in un primo tempo sigillati, poi requisiti, poi depredati di tutto il mobilio e contenuto, sicché il risultato finale è stato che da Torino sono stati deportati circa 750 ebrei, dei quali una ventina arrestati a fine 1944 [Archivio di Stato di Torino].