L’origine della parola “Ghetto” è incerta. Essa entra in uso durante il Rinascimento per indicare i quartieri delle città dove gli ebrei sono costretti a vivere: si tratta di un’odiosa misura di persecuzione che si protrae per secoli, almeno fino all’inizio dell’Ottocento, quando i ghetti vengono a poco a poco smantellati, sulla scia delle riforme imposte da Napoleone. In Italia l’ultimo ghetto a chiudere è quello di Roma, che viene definitivamente abolito dopo la conquista della città da parte dello Stato italiano nel 1870.

In Germania, è Hitler a recuperare l’idea di chiudere gli ebrei nei ghetti, in un suo articolo del 1935. Le idee del Führer sono messe in pratica a partire dal settembre 1939, dopo la conquista della Polonia. Un decreto del 24 di quel mese, firmato da Reinhard Heydrich, comandante delle forze di polizia tedesche, impone agli ebrei polacchi di raccogliersi nelle grandi città e di vivere in quartieri tenuti sotto stretto controllo dalla polizia. Conseguentemente, i ghetti entrano in attività in tutte le grandi e medie città polacche. Si stima che il loro numero complessivo sia stato superiore ai 400.

19 ottobre 1939: Frank, il governatore generale della Polonia occupata, oggi ha decretato che da ora in poi gli ebrei del Ghetto di Varsavia devono essere esclusi dal resto della capitale da barriere messe sotto stretto controllo della polizia. Asserisce che gli ebrei sono portatori di «germi e malattie». Un mio amico americano di ritorno questa notte da Varsavia mi dice che la politica nazista è semplicemente quella di sterminare gli ebrei polacchi. Sono stati trascinati nella Polonia orientale e obbligati a vivere in catapecchie non riscaldate e privati di ogni possibilità di guadagnarsi pane e companatico [Shirer, Berlin Diary 1934-1941, p. 179]

I ghetti più grandi sono quelli di Varsavia e di Lodz. Il primo accoglie una popolazione di quasi 500.000 persone, mentre il secondo raggiunge i 200.000 abitanti.

Anche nei territori dell’Unione Sovietica occupati dalle armate del Reich vengono aperti dei ghetti, ma sono meno numerosi e più piccoli, e questo perché la grande maggioranza della popolazione ebraica viene immediatamente sterminata dai nazisti.

Le condizioni di vita all’interno dei ghetti sono terribili. I tedeschi impongono agli ebrei di vivere nei quartieri più poveri delle città, in spazi assolutamente insufficienti. Talvolta, come ad esempio a Varsavia, gli ebrei non possono lavorare, e dunque non hanno alcuna possibilità di comprare cibo o altri generi di prima necessità. In breve tempo, la malnutrizione e le malattie fanno strage dei reclusi, che peraltro vengono periodicamente selezionati per essere deportati verso i campi di sterminio.

La fame cresce di giorno in giorno. Essa esce dagli alloggi oscuri e sovrappopolati per esporre nella strada lo spettacolo dei ventri caricaturalmente gonfi, dei piedi purulenti avvolti in stracci sporchi, coperti di ascessi e di piaghe causati dal gelo e dalla denutrizione. La fame parla con la bocca dei mendicanti, dei vecchi, dei giovani e dei bambini fin nei cortili. [Edelman, Krall, Il Ghetto di Varsavia, p. 34]

Per gestire i ghetti, i tedeschi utilizzano i “Consigli ebraici” (Judenräte), comitati di ebrei anziani scelti spesso a caso, che governano i correligionari facendo eseguire loro gli ordini dei nazisti. Nei ghetti vengono istituite anche unità di polizia ebraica che, provviste solo di manganelli, assicurano l’obbedienza dei reclusi. Nonostante le condizioni disperate, le comunità organizzano orfanotrofi, ospedali e corsi scolastici e universitari clandestini, allo scopo di mantenere viva la cultura e l’identità ebraica. Sono forme di Resistenza non armata al progetto nazista di distruzione del popolo e della cultura ebraici.

In alcuni casi gli ebrei lavorano in fabbrica, e ciò permette loro di mantenere un livello di vita appena dignitoso. Vengono anche pubblicati dei giornali clandestini. All’interno dei ghetti dell’Europa orientale vengono deportati anche ebrei tedeschi, prima di essere inviati nei campi di sterminio, e ciò peggiora la situazione di sovraffollamento.

Gli ebrei rinchiusi nei ghetti si rendono protagonisti di disperate ribellioni e rivolte – come avviene a Varsavia nell’estate del 1943 – che però, per la disparità di forze, falliscono inesorabilmente.

In Polonia, nel corso del 1942, la maggior parte dei ghetti viene svuotata durante la cosiddetta Aktion Reinhard, una serie di rastrellamenti e deportazioni degli ebrei verso i campi di sterminio. I sopravvissuti vengono utilizzati ancora fino alla fine della guerra come lavoratori schiavi. I ghetti verranno definitivamente chiusi nel corso del 1943.

Galleria

Bibliografia

Gustavo Corni, I ghetti di Hitler. Voci da una società sotto assedio, Bologna, Il Mulino, 2001

M. Edelman, H. Krall, Il Ghetto di Varsavia. Memoria storica dell’insurrezione, Roma, Città Nuova, 1985

I Ghetti nazisti, a c. di Marcello Pezzetti, Bruno Vespa, Sara Berger, Roma, Gangemi, 2012

Piero Malvezzi, Le voci del ghetto di Varsavia 1941/1942, Bari, Laterza, 1970

William L. Shirer, Berlin Diary 1934-1941, Londra, Sphere Books, 1941 (qui si cita dall’edizione del 1970)

Franca Tagliacozzo, Bice Migliau, Gli ebrei nella storia e nella società contemporanea, Firenze, La Nuova Italia, 1993

Sitografia

Visita il sito del museo di storia ebraica di Varsavia

Visita la pagina dell’Holocaust Museum di Washington dedicato alla Polonia e al Ghetto di Varsavia

 

Testimonianze

Articolo di un giornale clandestino del ghetto di Varsavia, 1941

«La creazione del ghetto di Varsavia e le spaventose condizioni di vita che vi regnano, non bastano agli hitleriani. Essi sono giunti alla conclusione che il ghetto occupava uno spazio troppo grande e che gli ebrei vi vivevano troppo comodamente. Hanno deciso dunque di escludere dal ghetto ancora qualche strada. Quarantamila persone rimangono senza alloggio, senza le fabbriche in cui lavoravano e senza la possibilità di guadagnarsi da vivere. Prima tappa di questo spostamento è stata la parte di numeri pari di via Sienna. Agli abitanti furono date tre settimane per traslocare. Ora gli abitanti della parte dei numeri dispari di via Zeladna e delle strade contigue hanno ricevuto l’ordine di sfratto con un preavviso di quattro giorni. Le gente corre sconvolta per trovare alloggi che non esistono. E sono solo le prime tappe del programma di spostamenti. La situazione è ora molto più difficile che al momento della creazione del ghetto. Non si tratta più di cambiare alloggio, non rimane che stringersi ancora di più. I più colpiti sono gli indigenti, che non sanno proprio come cavarsela. Anche molti polacchi devono essere allontanati da certe strade destinate agli ariani. Sono strade abitate da poveri, le condizioni di vita, soprattutto dal punto di vista sanitario, peggioreranno. Il tifo farà strage di vittime.

Ma è proprio questo che vogliono gli hitleriani. Vogliono spezzarci, annientarci, ridurre la nostra energia e il nostro pensiero alle più elementari preoccupazioni di esistenza, per non lasciarci più né il tempo né la volontà di resistere, di lottare.

Ma non ci riusciranno».

Tratto da Piero Malvezzi, Le voci del ghetto di Varsavia 1941/1942, Bari, Laterza, 1970, pp.322-323


Testimonianza di Emmanuel Ringelblum, cronachista del Ghetto di Varsavia

«Cominciai a raccogliere il materiale del nostro tempo fin dall’ottobre del 1939. Come capo del Soccorso Sociale Ebraico ero quotidianamente al corrente di quanto succedeva intorno a me. Mi pervenivano notizie su tutto ciò che accadeva agli ebrei di Varsavia. […]

Raccoglievo quindi tutto quanto avevo appreso durante il giorno; la sera prendevo appunti, aggiungendo le mie osservazioni. Questi appunti quotidiani divennero, col passar del tempo, un volume di un centinaio di pagine, che dà un’idea precisa di quei tempi. Col tempo sostituii gli appunti quotidiani con rassegne settimanali e mensili. Questo lo feci quando il numero dei collaboratori dell'”Oneg Shabbat” si era allargato notevolmente […] Durante le riunioni che, di solito, duravano molte ore, furono stabilite le tesi di ciascun tema. Sono state elaborate le tesi sulla polizia ebraica, sulla corruzione e sulla demoralizzazione nel ghetto, sulla vita pubblica, sulla scuola, un questionario sulla vita e sull’attività letteraria e culturale durante la guerra, sulle relazioni ebraico-polacche, sul contrabbando; un questionario sui rapporti fra le diverse categorie di lavoratori, sulla gioventù, sulla donna, ecc.

Nel corso del lavoro ci arricchimmo sempre di più di esperienze sul modo di condurlo. Molti fra gli autori erano già ad uno stadio avanzato del proprio compito. […]

Tutti capivano quanto fosse importante che alle generazioni future rimanesse una traccia della tragedia degli ebrei della Polonia. Alcuni avevano capito che il materiale raccolto serviva per informare subito il mondo dei delitti commessi nei confronti delle popolazioni ebraiche».

Tratto da Franca Tagliacozzo, Bice Migliau, Gli ebrei nella storia e nella società contemporanea, Firenze, La Nuova Italia, 1993, p.285.


Altri contenuti

Guarda un documentario degli anni Sessanta con immagini del Ghetto di Varsavia

Guarda le video testimonianze raccolte dall’Holocaust Museum di Washington