Con la breccia di Porta Pia, il 20 settembre del 1870, si conclude il processo di emancipazione degli ebrei in Italia e si chiude la buia parentesi dei ghetti, che si era aperta agli inizi del XVI secolo. Lo storico Michele Luzzati definisce il ghetto come «un’area di emarginazione e segregazione riservata solamente agli ebrei, imposta dalla legge, prevista come permanente e caratterizzata dall’isolamento attraverso una barriera fisica in cui si aprivano soltanto ingressi controllati nelle ore diurne e bloccati nelle ore notturne, durante le quali era vietato uscire» (Luzzati, Il ghetto ebraico, p. 4).
È la Repubblica di Venezia, nel 1516, a erigere il primo ghetto. Il termine deriva probabilmente dall’attività della lavorazione e fusione del rame (getus, dal latino iactus, era detta la fusione) che si svolgeva nell’area poi destinata agli ebrei. Nel 1555, nel pieno della Controriforma, con la bolla Cum nimis absurdum, Paolo IV ordina che in tutte le località sotto il potere della Chiesa, a partire da Roma, gli ebrei siano rinchiusi in quartieri separati dal resto della società. Questo è il preambolo della bolla:
Poiché è oltremodo assurdo e sconveniente al massimo grado che gli ebrei, che per loro colpa sono stati condannati da Dio alla schiavitù eterna, possano, con la scusa di essere protetti dall’amore cristiano e tollerati nella loro coabitazione in mezzo a noi, mostrare tale ingratitudine verso i cristiani da oltraggiarli per la loro misericordia e da pretendere dominio invece di sottomissione; e poiché abbiamo appreso che, a Roma e in altre località sottoposte alla sacra romana Chiesa, la loro sfrontatezza è giunta a tal punto che essi pretendono non solo di vivere in mezzo ai cristiani, ma anche in prossimità delle chiese senza distinguersi nell’abito, e che anzi prendono in affitto delle case nelle vie e nelle piazze principali, acquistano e possiedono immobili, assumono donne di casa, balie e altra servitù cristiana, e commettono altri numerosi misfatti a vergogne e disprezzo del nome cristiano; [perciò] considerando che la Chiesa romana tollera questi ebrei in quanto testimoni della verità della fede cristiana e affinché riconoscano alla fine i propri errori, spinti dalla pietà e benevolenza della sede Apostolica, e compiano ogni sforzo per approdare alla vera luce della fede cattolica e così riconoscano di essere stati resi schiavi a cagione dei loro persistenti errori, mentre i cristiani sono stati resi liberi grazie a Gesù Cristo, Dio e Signore Nostro, e quindi riconoscano che è ingiusto che il figlio della donna libera sia al servizio del figlio della donna serva, desiderando, con l’aiuto di Dio, porre rimedio a tutto ciò, stabiliamo, attraverso questa costituzione valida per sempre, che in ogni tempo futuro, tanto l’Urbe [Roma] che in ciascuna altra città, terre e luoghi della Chiesa Romana tutti gli ebrei debbano abitare in una sola via, e se quella non fosse bastante, in due o tre o in quante siano sufficienti, contigue tra loro e del tutto separate dalle abitazioni dei cristiani da designare per opera nostra nell’Urbe e per opera dei nostri magistrati nelle altre città, terre e luoghi predetti, alle quali si acceda con unico ingresso e si esca con un’unica uscita.
Il testo prosegue con una serie di divieti e prescrizioni secondo le quali, ad esempio, non è ammessa la presenza di più di una sinagoga, gli ebrei non possono possedere beni immobili e devono vendere ai cristiani quelli che già possiedono. Gli abitanti del ghetto sono costretti a indossare sempre un segno distintivo; i medici ebrei non possono più curare i cristiani ed è vietato assumere servitù cristiana o far allattare i propri figli da nutrici non ebree.
Mentre il ghetto di Roma è creato assai rapidamente dopo l’emanazione della bolla, la ghettizzazione del resto dell’ebraismo italiano è un processo abbastanza lungo. Molti ghetti vengono creati solo nel Seicento: a Mirandola nel 1602, a Padova nel 1603, a Mantova nel 1612, a Rovigo nel 1615, a Ferrara dopo il 1624, a Cento (FE) nel 1635 e a Lugo (RA) nel 1639. Altri ancora sorgeranno nel corso del XVIII secolo (Caffiero, Storia degli ebrei nell’Italia moderna, p. 109).