.1.6 Fiorentini, Mario

Testo
Mario Fiorentini

Mario Fiorentini nasce a Roma da padre ebreo e madre cattolica nel 1918. I suoi genitori sono arrestati durante la retata del 16 ottobre 1943, ma riescono a fuggire dal Collegio militare con uno stratagemma. Mario, già attivo nella Resistenza avendo combattuto a Porta San Paolo con altri appartenenti al movimento Giustizia e Libertà, sfugge alla cattura. A ottobre organizza il Gap (Gruppo di azione patriottica) “Antonio Gramsci”, che opera in centro città.

La sua prima azione è l’uccisione di tre fascisti del Fascio romano di Palazzo Braschi, al corso Vittorio Emanuele II. A novembre il Gap “Gramsci” riesce a piazzare una bomba al di sotto del palco del teatro Adriano, dove è previsto un comizio del generale Rodolfo Graziani, ministro della difesa della RSI. Tuttavia, a causa di un errore tecnico la bomba non esplode.

In autunno, Fiorentini partecipa a tutte le più importanti azioni dei Gap del centro di Roma, uccidendo alcuni ufficiali fascisti e nazisti. In seguito allo smantellamento dei Gap, dovuto al tradimento di un componente, Fiorentini si reca in provincia dove dirige i gruppi d Tivoli.

Dopo la Liberazione della capitale, Fiorentini viene reclutato dall’OSS (i servizi segreti americani), per essere inviato nel nord come agente segreto.

Dopo la guerra si dedica all’insegnamento della matematica diventando professore all’Università di Ferrara.

È decorato con tre medaglie d’argento al valor militare e tre croci di al merito di guerra.

Galleria

Bibliografia

Rosario Bentivegna, Achtung Banditen! Prima e dopo via Rasella, Mursia, Milano, 2004

Mirko Bertozzi, L’ultimo gappista. Mario Fiorentini. Una vita di lotte, incontri, passioni e teoremi, Roma, Efesto, 2018

Sitografia

Leggi un’intervista a Mario Fiorentini realizzata da Pietro Nastasi

Guarda e ascolta una video-intervista a Mario Fiorentini realizzata da Davide Conti

Testimonianze

Rosario Bentivegna racconta l'attacco ai fascisti in via Tomacelli, 10 marzo 1944

«Il 10 marzo i fascisti avevano osato, in pubblico, commemorare Giuseppe Mazzini. Che cosa avessero in comune i fascisti con la democrazia mazziniana non era chiaro, comunque, non potevamo tollerare che la memoria del grande patriota fosse coinvolta e strumentalizzata da chi aveva aperto le porte allo straniero. D’altro canto non era accettabile che i fascisti tentassero di imporsi a Roma con una manifestazione: li avevamo spazzati via dalle strade come individui, e respingemmo anche il loro tentativo di ritornarvi in forze.

Si riunirono al chiuso al Teatro Adriano, poi, preceduti da plotoni armati, si avviarono verso il centro. La loro scorta, composta da una compagnia di allievi ufficiali in camicia nera, era armata fino ai denti: con tutti quei mitra, quelle bombe a mano, quelle pistole, quei pugnali, ricordavano macabri alberi della cuccagna, fasciati com’erano di nero e di teschi nelle loro divise di necrofili.

In via Tomacelli, all’altezza del mercatino rionale di piazza degli Aranci, li aspettavamo in tre, Franco Ferri, Mario Fiorentini e io. Eravamo con bombe da mortaio Brixia modificate in bombe a mano. Avanzavano cantando, spavaldi ‘All’armi siam fascisti, terror dei comunisti’, ma smisero subito. Le nostre bombe interruppero quella carnevalata. Non tentarono nemmeno la difesa e scapparono, quelli che non erano rimasti a terra, insieme con tutti gli altri cje in borghese li seguivano in corteo. Avevamo voluto colpire gli armati ma era un avvertimento anche per gli altri».

Rosario Bentivegna, Achtung Banditen! Prima e dopo via Rasella, Mursia, Milano, 2004, p. 190