
Roma viene occupata, dopo due giorni di combattimenti, il 10 settembre 1943. Subito dopo l’ingresso delle truppe tedesche, si installa il comando di polizia (SiPo-SD), agli ordini di Herbert Kappler, con sede in via Tasso n. 155. I primi passi del colonnello Kappler sono quelli tipici della polizia nazista al momento dell’insediamento in una città appena conquistata: sequestra documenti nei ministeri e arresta i personaggi considerati pericolosi.
Nei primi giorni dell’occupazione la presenza tedesca non sembra essere una minaccia per gli ebrei romani, anche perché, teoricamente, la città rimane sotto la giurisdizione italiana e nelle mani dal generale Giorgio Calvi di Bergolo, che assume la carica di comandante della Città Aperta di Roma.
In realtà sono i tedeschi a detenere il potere, esercitato attraverso il comando militare del generale Rainer Stahel (poi sostituito dal generale Kurt Mälzer), il comando di polizia di Herbert Kappler e l’ambasciata di Ernst von Weizsäcker, che esautorano il comando italiano e arrestano e deportano prima i militari della divisione di fanteria “Piave” (agli ordini di Calvi di Bergolo), e poi migliaia di carabinieri (7 ottobre 1943).
Le autorità italiane che rimangono in carica, e che hanno un certo potere, sono la prefettura e la questura, che continuano a dirigere la polizia. Il 18 settembre 1943, viene ricostituito il partito fascista, che si autodefinisce “Fascio romano”. Il primo federale è Gino Bardi, un ex funzionario del sindacato dei commercianti, mentre il comandante delle “squadre d’azione” (le formazioni paramilitari), è Guglielmo Pollastrini.
Dopo poche settimane il clima per gli ebrei cambia completamente. A Kappler viene ordinato di arrestarne almeno 8.000, ma il tenente colonnello rifiuta, preoccupato per le ripercussioni sull’ordine pubblico. A fine settembre, comunque, Kappler impone una taglia di 50 chili d’oro alla comunità ebraica, e dispone il saccheggio dell’archivio storico e della biblioteca, custoditi negli ufficio all’interno del Tempio maggiore. Pochi giorni dopo, però, Theodor Dannecker e un suo piccolo gruppo di collaboratori, al comando di un reparto dell’Ordnungspolizei, arrestano e deportano 1.022 ebrei romani.
All’alba del 16 ottobre 1943, suddivisi in piccoli gruppi, i poliziotti tedeschi si lanciano in una retata che si conclude nel primo pomeriggio con 1.254 arresti. Le vittime vengono portate in una caserma sul lungotevere, il collegio militare, dove sono trattenute per due giorni. Dopo il controllo dei documenti, 232 persone sono rilasciate: si tratta di non ebrei arrestati per sbaglio, oppure membri di famiglie “miste”. I 1.022 rimanenti vengono portati, la mattina del 18 ottobre, alla stazione Tiburtina. Il treno parte nel primo pomeriggio per Auschwitz, dove arriva cinque giorni dopo. La maggior parte dei deportati viene uccisa nelle camere a gas al momento dell’arrivo; gli altri sono utilizzati come manodopera schiava, con l’intento di farli morire tutti di stenti e malattie. Dei 1.022 deportati torneranno a casa soltanto in 16.
Dopo la razzia del 16 ottobre, gli ebrei romani che non sono stati catturati sono costretti a nascondersi. I rifugi sono i più vari. Molti, soprattutto donne e bambini piccoli, trovano riparo in conventi ed edifici religiosi. Alcuni si rifugiano presso amici cattolici, altri fuori Roma, nei paesi della Sabina e dell’Abruzzo. Molti, ancora, sono costretti a tornare nelle case abbandonate il 16 ottobre perché privi di appoggi e alternative.
Fino al gennaio del 1944, comunque, gli arresti di ebrei sono relativamente pochi. Da febbraio, però, la politica antiebraica dei nazisti e dei fascisti diventa molto più decisa.
Kappler, probabilmente nell’ambito di accordi italo-tedeschi stipulati alla fine del mese, utilizza soprattutto i collaborazionisti italiani per scovare e arrestare gli ebrei nascosti. Roma è piena di “bande”, gruppi di collaborazionisti che si specializzano nella “caccia all’ebreo” e sono pagati direttamente dal comando della polizia tedesca. Le bande più famose sono la “Cialli Mezzaroma”, comandata dall’ex spia della polizia segreta fascista Giovanni Cialli Mezzaroma, e la “Ceccherelli”.
Questi gruppi, composti da un numero di elementi che varia dai 3-4 ai 20, sono estremamente pericolosi, e riescono ad arrestare, o a far arrestare dai tedeschi, centinaia di ebrei.
All’inizio del febbraio 1944 si insedia a Roma un nuovo questore, Pietro Caruso, che si dimostra fin da subito particolarmente deciso ad arrestare gli ebrei. Sotto il suo comando vengono fermate centinaia di persone, caricate su autobus e inviate al campo di concentramento di Fossoli.
Oltre alle centinaia di ebrei deportati verso i campi di sterminio (circa 700, oltre ai 1.022 del 16 ottobre), a Roma perdono la vita altri 77 ebrei, uccisi nella strage delle Fosse Ardeatine. Dopo l’attacco di via Rasella, Kappler ha l’incarico di trovare i 330 individui da uccidere per rappresaglia. Non avendone abbastanza a disposizione nelle sue carceri, prima chiede alla questura la consegna di 50 detenuti, poi dà ordine alle bande di arrestare più ebrei possibile. Nella notte tra il 23 e il 24 marzo 1944, almeno una dozzina di ebrei vengono fermati nella zona dell’antico Ghetto e consegnati al comando di via Tasso.
Gli arresti degli ebrei romani proseguono fino alla fine di maggio. La persecuzione si conclude soltanto con l’arrivo delle truppe americane, il 4 giugno 1944.
Complessivamente, da Roma, vengono deportate oltre 1.700 persone.