
Dopo l’armistizio, Rodi e le altre isole del Dodecaneso vengono occupate dai tedeschi, non senza che, in alcune località – in particolare a Kos e Leros – i reparti italiani, sostenuti dagli Alleati, abbiano tentato qualche forma sfortunata di resistenza.
Preso il possesso dell’arcipelago, i tedeschi insediano la loro occupazione militare, lasciando tuttavia l’amministrazione civile e politica nelle mani degli italiani che, perlopiù, collaborano con loro. Chi non vuole farlo finisce in campi di internamento insediati a Rodi, dove le condizioni di vita sono durissime e i decessi numerosi. Molti soldati, invece, vengono imbarcati e diretti nei Lager dell’Europa continentale. Alcune delle navi affondano, provocando la morte di migliaia di prigionieri.
Uno dei primi a essere deportati nei Lager è il governatore del Possedimento, l’ammiraglio Inigo Campioni che, internato in Polonia insieme al comandante della base di Leros, il contrammiraglio Luigi Mascherpa, viene poi consegnato dai tedeschi alla Repubblica Sociale Italiana. I due ufficiali, ritenuti colpevoli di alto tradimento per aver tentato di resistere agli alleati germanici, vengono fucilati a Parma il 24 maggio 1944.
Dopo la nascita della Repubblica Sociale, le isole del Dodecaneso, per quanto lontanissime e occupate dai tedeschi, entrano amministrativamente a far parte del nuovo stato di Mussolini. Il posto di governatore è occupato dal vicegovernatore Igino Faralli, che avrà un ruolo di primo piano nella deportazione della comunità ebraica delle isole. Tutti i funzionari e gli impiegati del Possedimento, a partire appunto da Faralli, giurano fedeltà alla RSI. Tra loro ci sono i carabinieri (la gran parte dei quali, però, rifiuta di aderire e viene deportata), che nel febbraio 1944 vengono riorganizzati, insieme a finanzieri ed ex camicie nere, nell’“Ufficio Centrale di Polizia”. Nel maggio 1944 entrano tutti a far parte – e in ciò il Dodecaneso anticipa provvedimenti che in Italia verranno presi solo più tardi – del “Raggruppamento autonomo della Guardia Nazionale Repubblicana Egeo”. La collaborazione con i tedeschi, a quel punto, diventa strettissima, in particolare nella repressione del ribellismo e della poca attività resistenziale presente sulle isole. Non solo: gli appartenenti al Raggruppamento e gli impiegati civili italiani del governo di Rodi sono fondamentali nel fornire ai tedeschi, e in particolare alla Gestapo, le liste degli ebrei domiciliati e residenti nelle isole, preparate a partire dal maggio di quell’anno. Inoltre, secondo gli studi più approfonditi, le autorità italiane predispongono il sequestro dei beni degli ebrei e l’occupazione delle loro case di Rodi e Kos prima ancora che essi vengano deportati. Nel luglio del 1944, dunque, è tutto pronto.
Per quanto riguarda i tedeschi, la deportazione degli ebrei della Grecia già in mano italiana – oltre che da Rodi e da Kos, gli ebrei sono deportati da Corfù, Ioannina e Atene – è affidata ad Anton Burger (1911-1991), collaboratore di Eichmann e già comandante del Lager di Theresienstadt.
Il 13 luglio 1944 il comandante tedesco, il generale Ulrich Kleeman, dirama l’ordine di concentramento di tutti i cittadini ebrei nelle località di Rodi città, Trianda, Cremastò e Villanova. Il 20 luglio successivo, il quotidiano «Messaggero di Rodi» pubblica un nuovo ordine che obbliga tutti gli ebrei dell’isola, senza distinzione di genere e di età, a presentarsi, dalle 8 del mattino successivo, alla Kommandatur tedesca, che ha sede nei locali che, fino all’8 settembre del 1943, ospitavano il comando italiano dell’aeronautica, in pieno centro di Rodi. Il 21 luglio, mentre gli ebrei affluiscono alla Kommandatur, Faralli emana il decreto di alienazione dei beni loro appartenenti, che verranno tutti sequestrati e messi a disposizione del governo del Possedimento.
A favore degli ebrei di Rodi si muove il console turco Selahattin Ülkümen – nel 1989 nominato Giusto tra le Nazioni – che tra il 21 e il 23 luglio riesce a salvare, dichiarando la loro nazionalità ottomana, 42 persone.
La mattina del 23 luglio, un lungo e silenzioso corteo si avvia verso il porto. La città non assiste alla partenza perché, probabilmente, un falso allarme aereo fa sì che la gente resti in casa. Le navi utilizzate faranno una sosta a Kos per prelevare le poche decine di persone rinchiuse dal giorno precedente nel palazzo della Reggenza.
Da Rodi vengono deportati, complessivamente ma sulla base di stime non definitive, 1.750 ebrei, da Kos 93. Tutti vengono portati dapprima nel grande campo di transito di Haidari, ad Atene; alcuni muoiono durante il viaggio e nel campo ateniese. Da lì, poi, partono, insieme ad altre centinaia di prigionieri, per Auschwitz, dove la gran parte delle persone viene uccisa subito. Degli ebrei del Dodecaneso sopravvivranno solo tra le 150 e le 180 persone.
La deportazione della comunità ebraica del Dodecaneso avviene in un momento critico per i tedeschi, che stanno per abbandonare la Grecia e che, ciononostante, impiegano mezzi e uomini per effettuare questo trasporto. Quello degli ebrei di Rodi e Kos sarà il viaggio più lungo tra quelli effettuati dai loro correligionari verso le camere a gas.
In alcune aree della Grecia, la Shoah provoca la scomparsa quasi totale delle comunità ebraiche presenti da secoli. Secondo stime riportare dalla storiografia (Clementi-Toliu, Gli ultimi ebrei di Rodi, p. 184) scompaiono:
il 96% degli ebrei della Tracia
il 94% degli ebrei delle isole (il 91% di quelli di Corfù, mentre quelli di Zante sono nascosti dalla popolazione; il 92% di quelli del Dodecaneso; il 98% di quelli di Creta)
il 91,5% degli ebrei della Macedonia
il 77,6% degli ebrei dell’Epiro
il 43% degli ebrei del Peloponneso
il 30,6% degli ebrei della Tessaglia
il 52% degli ebrei del resto della Grecia continentale