Durante la seconda guerra mondiale i soldati italiani, oltre che in Africa e nel Mediterraneo, sono impegnati in Jugoslavia, Grecia, Francia e Unione Sovietica. Combattono affianco agli alleati tedeschi.
La Jugoslavia viene aggredita dalle forze italo-tedesche nell’aprile del 1941. Il 18 di quel mese è firmato l’armistizio. Il paese viene smembrato: una parte è occupata dagli italiani, una dai tedeschi, mentre Serbia e Croazia diventano stati semi-indipendenti. In Croazia prende il potere Ante Pavelic, un fascista fanaticamente razzista. Pavelic, alla guida del movimento ustascia, comincia una violentissima campagna di pulizia etnica contro i serbi e gli ebrei, uccidendo migliaia di persone dopo averle rinchiuse in campi di concentramento.
Gli ebrei di Croazia cercano scampo nei territori occupati dagli italiani, che nella maggior parte dei casi li proteggono, a volte entrando direttamente in conflitto con gli ustascia. Sulla costa dalmata, controllata dagli italiani, arrivano circa 3.800 rifugiati ebrei. Il 7 settembre 1941 il comandante della II armata, Vittorio Ambrosio, emette un bando che impedisce qualsiasi tipo di persecuzione per motivi religiosi o razziali. Non sempre, però, il comportamento dei militari coincide con quello delle autorità civili. Prefetti e governatori spesso respingono i rifugiati consegnandoli alle autorità croate e quindi, di fatto, alla morte.
Nell’agosto del 1942 le autorità tedesche in quella che è ormai l’ex Jugoslavia fanno pressioni su quelle italiane per la consegna degli ebrei rifugiati ai croati. Mussolini, a cui vengono richieste indicazioni, si limita a rimettere la decisione alle autorità militari italiane, evitando così di prendere posizione. Militari e diplomatici sul campo decidono quindi di internare gli ebrei in campi di concentramento allo scopo di dimostrare agli alleati che stanno facendo qualcosa, e allo stesso tempo mettere al sicuro gli stessi ebrei. Nel campo istituito per gli slavi sull’isola di Arbe, viene creato un settore ad hoc per l’internamento degli ebrei. Dopo il 25 luglio molti di quei prigionieri vengono trasferiti in Italia per evitare che possano cadere nelle mani di tedeschi e croati.
Non sono ancora del tutto chiare le ragioni di un comportamento così differente da quello adottato nei confronti del resto delle popolazioni civili sottoposte all’occupazione italiana. Certamente le persecuzioni antiebraiche suscitano dubbi etici in alcuni dei protagonisti […]. Tuttavia il coinvolgimento dello stesso Mussolini nel piano di “salvataggio” appare per certi versi stupefacente. […] Alcuni dei protagonisti giustificano la loro benevolenza verso gli ebrei con ragioni di realismo politico. A Dubrovnik ad esempio essi potrebbero venire utilizzati come «massa di manovra per realizzare, al momento opportuno, nella eventualità di un plebiscito, la superiorità numerica delle opzioni per l’Italia». Inoltre «la consegna degli ebrei ai tedeschi o croati finirebbe praticamente col nuocere al nostro prestigio», soprattutto perché i serbi «potrebbero essere indotti a pensare di essere un giorno anche essi dati in potere degli ustascia», pregiudicando quella collaborazione su cui si basa il sistema d’occupazione. La fermezza esibita in una questione tutto sommato minore serve forse a riaffermare, attraverso un gesto soprattutto simbolico, il prestigio e l’autonomia delle forze armate italiane di fronte alla prepotenza dell’alleato germanico. [E. Gobetti, Alleati del nemico, pp. 131-132. Le citazioni sono tratte dal promemoria del comando del VI corpo d’armata del 27.8.1942 e dal diario di Luca Pietromarchi, funzionario del ministero degli Esteri per l’amministrazione dei territori occupati nei Balcani].
La protezione italiana contribuisce a salvare almeno 5.000 ebrei jugoslavi, che riescono a sottrarsi alla cattura da parte di tedeschi e ustascia anche dopo il crollo delle forze armate italiane, nel settembre 1943.
Nei territori della 3^ zona, il passaggio dei poteri civili alle autorità croate ha prodotto grande apprensione tra l’elemento serbo, tra gli ebrei e tra gli stessi croati moderati, i quali tutti apprezzavano i vantaggi della nostra amministrazione e si sentivano al sicuro da violenze e rappresaglie. [Rapporto sul morale delle truppe italiane in Jugoslavia, in Archivio Centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce RSI, carteggio riservato, b. 173]
Lo stesso atteggiamento di tutela, per quanto limitata, delle minoranze ebraiche, si concretizza nella parte della Grecia occupata dagli italiani. Il paese ellenico, attaccato dall’Italia nell’ottobre 1940, viene sconfitto solo dopo l’intervento tedesco dell’aprile 1941, e smembrato, pur con un governo collaborazionista, tra Germania, Italia e Bulgaria. L’Italia ne occupa la parte più ampia e nelle sue aree, nonostante diffusi atteggiamenti antisemiti, talvolta persecutori, è data protezione agli ebrei in fuga dalle zone tedesche.
Le autorità tedesche introdussero nella loro area di occupazione misure antiebraiche già nel luglio 1942, quando imposero agli ebrei della Macedonia il servizio di lavoro obbligatorio, ritirando poi la misura solo dietro corresponsione di un’enorme “riscatto” in denaro. Tra il marzo e l’agosto 1943 l’intera comunità ebraica di Salonicco, che contava 56.000 dei 77.000 ebrei di Grecia, fu deportata nei campi di sterminio. A differenza dei tedeschi, nella loro area di occupazione le autorità italiane non percepirono la popolazione ebraica, numericamente più ridotta, come una seria minaccia. Stereotipi antisemiti erano ampiamente presenti tra i militari italiani e in alcune campagne di arresti furono presi di mira in modo particolare gli ebrei, accomunati ai comunisti. Nell’ottobre 1942 la richiesta tedesca di introdurre la stella gialla per tutti gli ebrei in zona italiana, inizialmente rigettata, fu accolta solo per ebrei greci e stranieri, ma non per quelli italiani e spagnoli. Nonostante ciò, le autorità italiane rifiutarono di introdurre ulteriori misure discriminatorie e non acconsentirono alla deportazione degli ebrei dalla propria zona. Questa avvenne solo dopo l’otto settembre quando i tedeschi occuparono tutta l’area italiana. Attriti per la questione ebraica si verificarono anche nella zona tedesca. Il consolato italiano a Salonicco, oltre a esentare gli ebrei di cittadinanza italiana dalla deportazione, estese tale protezione anche a molti ebrei non italiani. […] Tradizionalmente la storiografia ha attribuito tale politica all’ umanitarismo e alla estraneità del popolo italiano all’antisemitismo […] La più recente storiografia, invece, tende a evidenziare gli interessi economici e politici dietro la scelta degli italiani di proteggere gli ebrei. D’altra parte, nella stessa Salonicco vi sono testimonianze di provvedimenti antisemiti da parte italiana. Gli alunni ebrei della scuola italiana, ad esempio, vennero esclusi dalla concessione della refezione, una misura molto dura se si considera che Salonicco, come le altre città greche, era piegata dalla carestia […]. [Fonzi, Fame di guerra, pp. 49-50]
La protezione italiana si conclude, appunto, nel settembre 1943. Dopo quella data vengono deportate e scompaiono le comunità ebraiche delle aree già controllate dal Regio Esercito, o addirittura “italiane”, come il Dodecaneso.
Anche in Francia l’esercito italiano si oppone alla deportazione degli ebrei di nazionalità non francese decisa dalle autorità di Vichy. Dopo il novembre del 1942, quando l’intero territorio a nord del Rodano è occupato dai tedeschi, circa 5.000 ebrei si rifugiano nella parte meridionale della Francia occupata dagli italiani. Rimangono al sicuro fino all’8 settembre 1943 quando, con la firma dell’armistizio e la fuga delle truppe italiane, cadono nelle mani delle autorità tedesche e francesi.
L’esercito italiano prende parte anche all’aggressione all’Unione sovietica, scatenata il 22 giugno 1941 dai tedeschi. A fianco della Wehrmacht ci sono prima il Corpo di spedizione italiano in Russia (CSIR) e poi un’intera armata (ARMIR, Armata italiana in Russia). Anche in Urss i soldati italiani sono testimoni dei massacri degli ebrei, ma in queste zone non risultano interventi in loro favore.
I diplomatici italiani in Germania e in Europa orientale assistono o vengono a conoscenza dei massacri delle comunità ebraiche. Molti, anche se senza ottenere alcun risultato, inviano rapporti a Roma, denunciando gli orrori della Shoah. Alcuni si spendono personalmente per salvare singoli o gruppi di ebrei.
I diplomatici raccontano e descrivono dettagliatamente ciò che vedono accadere nei territori orientali invasi dalle truppe del Reich: una vera e propria guerra di annientamento nei confronti delle popolazioni e in particolare degli ebrei. Grazie ai loro rapporti, dunque, una piccola parte della popolazione italiana, già a partire dalla fine del 1941, è informata di ciò che sta avvenendo in Europa orientale.