La Jugoslavia viene invasa dalle truppe dell’Asse il 6 aprile 1941. Dopo poche settimane di combattimenti il suo esercito è sconfitto e il territorio smembrato e in parte occupato. La Serbia rimane formalmente indipendente, ma in realtà è amministrata da un governo militare tedesco. La Slovenia è divisa in due parti: quella settentrionale è occupata dai tedeschi e quella meridionale, con la capitale Lubiana, è annessa al regno d’Italia con il nome di “Provincia italiana di Lubiana”. La Croazia rimane formalmente indipendente e viene affidata ad Ante Pavelic, un terrorista filofascista che negli anni Trenta è stato finanziato e protetto dall’Italia. Una parte della costa della Dalmazia viene però sottratta alla Croazia e annessa al regno d’Italia. Il Montenegro è governato direttamente dall’esercito italiano. L’intero territorio è così diviso in due zone: l’area a influenza tedesca a est, quella italiana a ovest.
Nell’ormai ex Jugoslavia vivono alcune decine di migliaia di ebrei, tra i 70 e gli 80.000.
In Serbia le operazioni di sterminio sono dirette dall’amministrazione tedesca. Fin dal 30 maggio 1941 viene stabilito chi è da considerare ebreo e imposto l’allontanamento dagli impieghi statali e dalle libere professioni. Vengono anche resi obbligatori la stella gialla sui vestiti e il lavoro coatto, mentre si minacciano i serbi non ebrei di sanzioni nel caso nascondano questi ultimi. Le prime esecuzioni avvengono nell’estate successiva, come rappresaglia per le azioni della Resistenza, che in Jugoslavia è particolarmente forte e agguerrita. Nel settembre 1941 sono istituiti due campi di concentramento per ebrei maschi. A ottobre cominciano le esecuzioni di massa. Dal marzo del 1942 vengono uccisi anche donne e bambini, sterminati nelle camere a gas montate su camion. Dal maggio del 1942, praticamente, non ci sono più ebrei; gli unici a essersi salvati solo i pochissimi che hanno raggiunto le formazioni partigiane e quelli che sono riusciti a scappare nelle zone controllate dagli italiani.
Nella Croazia di Ante Pavelic, che non è solo il capo del governo ma anche il leader del movimento politico degli ustaša (parola croata che significa “insorti”), si attua un’autonoma politica di sterminio. Alla fine dell’aprile 1941 sono emanate leggi modellate su quelle tedesche di Norimberga. Le prime persecuzioni avvengono nel successivo mese di maggio, quando sono arrestati o uccisi i primi ebrei maschi. Il 22 giugno si verifica la prima retata a Zagabria, che si prolunga fino a novembre. L’operazione porta alla cattura di più di 30.000 persone, di entrambi i sessi e di tutte le età. Gli uomini vengono inviati nel campo di Jasenovak, diretto dall’ex frate francescano Miroslav Filipović-Majstorović, detto “Frate Satana”. A Jasenovak gli ebrei vengono torturati e uccisi in tutti i modi possibili. Le donne e i bambini, rinchiusi in altri campi di transito, partono poi per Auschwitz-Birkenau.
Nell’agosto del 1942 un’altra operazione di ricerca e arresto viene condotta dai tedeschi, che riescono a inviare ad Auschwitz-Birkenau 5.500 persone. Infine, nel maggio del 1943, sono arrestati i figli di matrimonio misto e gli ebrei che per motivi politici erano stati risparmiati dalle deportazioni degli ustaša.
Alla fine della guerra, nella ex Jugoslavia non ci sono praticamente più ebrei.
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