Con la Carta di Verona, e poi con l’emanazione dell’Ordine di polizia n. 5, tutti gli ebrei diventano “nemici” della Repubblica Sociale Italiana e vanno quindi denunciati alla polizia da parte di ogni cittadino fedele allo stato e al fascismo.

Gli ebrei sono, a questo punto, non solo il bersaglio delle polizie nazista e fascista, ma anche di singoli cittadini che, volontariamente, per motivi ideologici o a scopo di lucro, collaborano attivamente denunciando e tradendo i fuggiaschi. Per gli ebrei, ogni persona che incontrano è un potenziale pericolo.

Secondo la testimonianza del questore di Roma Pietro Caruso, rilasciata durante il processo a suo carico tenutosi nel settembre 1944, il primo a pagare i delatori (non solo degli ebrei) è il vice capo della polizia Giovanni Travaglio, che promette il 20% del valore dei beni sequestrati agli arrestati. Anche la polizia nazista mette una taglia, che dalle testimonianze viene indicata in 5.000 lire per ogni maschio adulto, 3.000 lire per ogni donna e 1.500 per ogni bambino. Non si tratta di cifre elevatissime (5.000 lire corrispondono a poche centinaia di euro odierni), ma permettono comunque di vivere in maniera discreta per qualche giorno.

Tali ricompense spingono molti italiani a tradire i propri concittadini ebrei indicando i nascondigli. Portieri, vicini di casa, ex colleghi di lavoro, conoscenti, permettono alle polizie fascista e nazista di mettere le mani su migliaia di persone nascoste, determinandone così la sorte.

Nel 1943-1945 l’iniziativa di delazione spontanea era in ogni caso incentivata, e persino strutturata, da un sistema poliziesco che si basava sugli informatori per realizzare i propri fini persecutori e per estendere il coinvolgimento e la corresponsabilità negli atti violenti ad aree sempre più ampie della società. [Levis Sullam, I carnefici italiani, p. 106.]

Alcuni di questi delatori fanno della “caccia all’ebreo” un vero e proprio mestiere. I casi non sono numerosi ma causano enormi danni. A Torino Renato Fracchia, amico del figlio del console tedesco, si mette in contatto con il comando della polizia tedesca di via Nazionale e, rivelando alcuni nascondigli di ebrei, riesce a far arrestare una dozzina di persone.

A Roma, Paolo F. una guida turistica, approfitta della conoscenza di moltissimi ambulanti ebrei, che continuano a lavorare durante l’occupazione, per denunciarli mentre accompagna i soldati tedeschi in visita ai monumenti del centro storico:

[…] il F. il quale aveva sempre manifestato ostilità contro gli ebrei, tramutatosi in odio, dopo la pubblicazione della legge razziale, non esitò prima e dopo l’8 settembre 1943, di additarli ai militari tedeschi, costringendoli a fuggire dai luoghi ove essi cercavano di esercitare il loro mestiere di venditori ambulanti a menare conseguentemente vita agiata e misera e che, messosi al servizio del tedesco invasore, prese parte ai saccheggi da essi operati nei negozi degli ebrei Caviglia Giuseppe in Piazza S. Maria Maggiore, di Veroli Michele in via Portico d’Ottavia n.5, di Calò Ezio in via Arenula e di Viser al Corso Umberto. [sentenza del 1945]

Tra Trieste, Padova e Venezia agisce invece Mauro Grini, un ebreo la cui famiglia è finita nel Lager di San Sabba. Forse per salvarsi la vita, o per soldi, Grini denuncia decine di suoi correligionari. Oltre a casi come il suo, particolarmente clamoroso, vi sono decine e decine di persone che, a volte in maniera anonima, inviano lettere ai comandi di polizia nazisti denunciando gli ebrei nascosti.

Non tutti i delatori sono spinti da motivi economici. Alcuni lo fanno per odio ideologico, altri per motivi personali, ad esempio per liberarsi di un vicino di casa o di un ex amante. I casi sono infiniti, e sono pochi quelli venuti alla luce nel dopoguerra. Le denunce anonime sono difficili da ricostruire e, soprattutto, da provare. Moltissimi di questi traditori, dunque, riusciranno a evitare di pagare per i loro crimini.

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