
Firenze viene occupata dalle truppe tedesche immediatamente dopo l’armistizio, senza che il comando militare italiano opponga alcuna resistenza. Con i tedeschi riappaiono i fascisti, raccolti attorno al Partito e alla ex 92^ Legione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, comandata da Mario Carità, un personaggio violento e pericoloso, che aveva vissuto di espedienti durante il ventennio.
Carità pone il suo quartier generale in un anonimo condominio di via Bolognese 67, accanto al comando della polizia e delle SS. Si tratta della “villa triste” del capoluogo toscano.
L’altro centro della repressione è la questura, dove, però, il questore Giuseppe Manna non si distingue né nella repressione della Resistenza, né nella persecuzione degli ebrei.
I primi arresti avvengono il 6 novembre 1943, probabilmente su iniziativa di un reparto di Theodor Dannecker comandato dal capitano delle SS Emil Goebel, con l’ausilio di militi fascisti. I nazifascisti circondano gli uffici della comunità israelitica e deportano tutti i presenti. La retata continua in altre zone della città. Una trentina di ebrei stranieri sono scoperti in un garage, altri vengono presi nelle loro case. Il 9 novembre Dannecker può organizzare un trasporto con le circa 400 persone catturate a Firenze e Bologna.
Tra il 26 e il 27 novembre avvengono altre retate, sempre compiute da tedeschi e italiani, anche grazie alla delazione di un giovane torinese, tale Felice Ischio. Un rastrellamento avviene nel convento della basilica di Santa Maria del Carmine, dove alcune donne, tra le quali la moglie del rabbino capo di Genova, Wanda Abenaim, hanno trovato rifugio. L’operazione viene condotta dalla banda Carità assieme a militi tedeschi. Il numero degli arrestati (donne e bambini) non è mai stato accertato, ma si parla di almeno 30 persone. Dopo essere rimasti agli arresti nel convento fino al 30 novembre, le vittime sono portate a Verona e da lì ad Auschwitz.
Dalla fine del 1943 il centro della persecuzione antiebraica diventa un ufficio creato ad hoc dal questore fascista Giuseppe Manganiello: si tratta dell’Ufficio Affari Ebraici diretto da Giovanni Martelloni e istituito il 21 dicembre di quell’anno. Martelloni è un pregiudicato che ha sempre vissuto al limite della legalità. Il personale dell’Ufficio è composto da criminali comuni ed ex spie della polizia politica fascista.
Oltre che sui fascisti di Carità, i nazisti possono contare su un certo numero di collaboratori singoli, come Benedetto T., un ex paracadutista che si fa assumere dalle SS per dare la caccia agli ebrei.
La persecuzione si conclude solo con la liberazione della città, nell’agosto 1944.
Complessivamente, da Firenze vengono deportate 324 persone considerate “di razza ebraica”.