La firma del re e di Mussolini sulle leggi antiebraiche

Dopo aver impostato una campagna di stampa durata circa un anno, Mussolini decide di passare alla persecuzione concreta dei diritti dei cittadini di religione ebraica, o comunque considerati “di razza ebraica”. Il primo passo del governo riguarda l’individuazione di chi debba essere colpito dalle leggi. Il 22 agosto 1938 viene, quindi, chiesto agli ebrei di esprimere, attraverso un modulo, la propria «appartenenza alla razza ebraica». È un modo per contarli e capire esattamente la portata numerica delle conseguenze dei provvedimenti. Il censimento attesta la presenza di

58.412 ebrei sul territorio nazionale e nelle colonie, dei quali 48.032 italiani e 10.380 stranieri residenti da oltre sei mesi.

È una cifra che corrisponde all’1,1 per mille della popolazione totale.

Coloro che non si dichiarano sono passibili di multe e di arresto.

Il passo successivo è l’espulsione degli ebrei dalle scuole, in Italia, nelle colonie e nei possedimenti. La decisione del ministro dell’Istruzione pubblica Giuseppe Bottai, del tutto autonoma e addirittura in anticipo rispetto alla legislazione tedesca, viene resa operativa con il decreto legge del 5 settembre 1938 n.1390 intitolato Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista, poi trasformato in legge. Come prevede la prassi, il re Vittorio Emanuele III di Savoia firma questo e i successivi provvedimenti legislativi, dandovi dunque il proprio avallo. Migliaia di studenti di ogni età e classe e centinaia di docenti sono espulsi dalle scuole del regno.

Il 6-7 ottobre il Gran consiglio del fascismo, organo supremo del partito, presieduto da Mussolini e con il compito di dare indicazioni politiche al Parlamento (che finisce per sostituire), approva una Dichiarazione sulla razza i cui punti vengono poi ripresi completamente nel regio decreto legge del 17 novembre 1938, n. 1728.  Con questo testo sono emanate le leggi antiebraiche vere e proprie, secondo le quali gli ebrei non possono sposarsi con non ebrei e subiscono forti limitazioni ai diritti di proprietà e di lavoro. Sono anche espulsi dal partito, dalle forze armate e non possono lavorare per enti statali o parastatali, nazionali e locali. Sono sequestrati beni mobili e immobili.

Il decreto legge stabilisce inoltre chi vada considerato ebreo, cioè i figli di due genitori ebrei, quelli di padre ebreo e madre di nazionalità straniera, o chi è nato da matrimonio misto ma professa la religione ebraica. Invece, non è considerato ebreo chi sia nato da matrimonio misto ma non professi la religione ebraica. Sono “discriminati”, cioè non sottoposti alle leggi antiebraiche, i familiari di caduti in guerra, di volontari di guerra decorati al valore militare, di caduti per la «causa fascista», di mutilati, invalidi e feriti, di iscritti al partito negli anni precedenti al 1922, e di chi ha eccezionali benemerenze.

Nel giugno 1939 un ulteriore decreto legge (29 giugno 1939, n.1054), vieta agli ebrei di praticare moltissime professioni, tra le quali quelle di notaio, giornalista, medico, farmacista, avvocato, commercialista, ingegnere, architetto, chimico, agronomo, geometra, ecc.

Circolari di polizia, fino al 1942, continueranno a colpire gli ebrei in quasi tutte le attività quotidiana, rendendo loro la vita praticamente impossibile.

Galleria

Bibliografia

Marco Avagliano, Marco Pamieri, Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia. Diari e lettere 1938-1945, Torino, Einaudi, 2011

Enzo Collotti, Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia, Roma, Laterza, 2006

Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 2020 [I edizione 1961]

Gli effetti delle leggi razziali sulle attività economiche degli ebrei nella città di Roma, Roma, Camera di Commercio Artigianato e Agricoltura, 2004

Michele Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Torino, Einaudi, 2007

Sitografia

Ascolta storie e testimonianze dal sito di Rai Scuola

Leggi il testo della “Dichiarazione sulla razza” votata dal Gran Consiglio del Fascismo nell’ottobre del 1938

Leggi il testo integrale della legge del 1938

Leggi l’intera legislazione antiebraica sul sito del CDEC

Guarda la prima pagina del quotidiano “La Stampa” che annuncia le leggi contro gli ebrei

Testimonianze

«[Roma] Settembre 1938 – XVI

Cara Mamma,

certo il dolore è grande, ma non temere, non mi abbatto; mi hai educato a sentimenti virili, e l’animo si mantiene alto e lo spirito sereno. Non mi preoccupa troppo la situazione mutata, l’avvenire incerto, la impossibilità forse di provvedere economicamente alla mia famiglia; non ho, spiritualmente, il tempo di fermare il pensiero su questi lati del problema. La mente si chiede solo: Ma è possibile? Con la fede inalterata nel culto di questa terra che consideravo e considero la mia patria, con la passione sempre nutrita per questa bella Italia, con l’ammirazione per il Regime, che abbiamo sempre avuta, con l’eco delle esclamazioni che ogni mattina, per mezz’ora, fanno in coro fingendo di leggere su libri qualunque (ma fra poco impareranno davvero! “Viva il Re! Viva Mussolini! Viva l’Italia! La bandiera tricolore è la più bella! Viva l’Abissinia italiana!”), coi ricordi di 4 anni di guerra, come è possibile che non sia più degno di essere figlio d’Italia? Ma non importa, mi sono detto, siamo soldati come lo eravamo in trincea, e il comandamento è uno solo, “ubbidire”. Come il soldato ubbidisce al Superiore qualunque cosa gli venga comandata, senza commenti, così noi, anche se non afferriamo tutto, dobbiamo ubbidire, mantenere la linea dritta di azione e di devozione, e solo pensare che se così è vuol dire che così deve essere, e tutto accettare quando si tratti del bene dell’Italia. Stai tranquilla, Mamma, per il mio stato d’animo».

Lettera dell’archeologo Aldo Neppi Modona alla madre, in Marco Avagliano, Marco Pamieri, Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia. Diari e lettere 1938-1945, Einaudi, Torino, 2011, pp. 37-38.


«Mamma iniziò a recarsi a Firenze ogni due o tre settimane per acquistare biancheria ricamata che rivendeva a casa; fu un’attività che proseguì fino al 1943, ma dava appena da sostenerci tant’è vero che nel 1940 dovette mandare prima mio fratello più piccolo, Vittorio, e poi me a vivere presso l’orfanotrofio israelitico Pitigliani».

Testimonianza dell’ebreo romano Mario Sciunnach, in Gli effetti delle leggi razziali sulle attività economiche degli ebrei nella città di Roma, Roma, Camera di Commercio Artigianato e Agricoltura, 2004, p. 144.


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