Memoriale Binario 21, Milano

Milano viene occupata dai tedeschi immediatamente dopo la proclamazione dell’armistizio, senza alcuna opposizione da parte dell’esercito italiano, il cui comandante si arrende e consegna la città alle forze di occupazione. Per la sua importanza economica e politica i tedeschi vi insediano immediatamente comandi, polizia e truppe.

Milano è seconda solo a Roma per numero di ebrei presenti. Secondo il censimento del 1941, ve ne sono circa 9.300 non discriminati (tra italiani e stranieri) e 736 discriminati. Molti sono stranieri fuggiti in Italia dall’Europa orientale o dalla Germania a causa delle persecuzioni. Rispetto a Roma, il capoluogo lombardo offre molte più opportunità di lavoro, e la stessa comunità ebraica locale è più ricca, colta e cosmopolita. In città non esiste alcun quartiere ebraico e gli ebrei sono perfettamente assimilati.

Il comandante della polizia tedesca è Theo Saevecke, un poliziotto professionista nato nel 1911, con ai suoi ordini 155 uomini. Tra questi, il responsabile della persecuzione degli ebrei, il maresciallo maggiore Otto Koch, coadiuvato dal maresciallo Helmut Klemm.

Il 25 aprile [1944] alle ore 19.20 si è presentato al funzionario di P.S. di turno in Questura il Maresciallo tedesco della P.S. Koch per informare che aveva proceduto in Bedero Valcuvia […] all’arresto dell’ebreo Selinskj Leo e che le masserizie e gli indumenti di proprietà dello stesso contenuti in bauli, casse e piccole valigie venivano poste a disposizione di questo Ufficio per la distribuzione ai poveri. [rapporto della Questura di Varese, Archivio di Stato di Milano, Questura e Prefettura di Varese, b. 3]

A Milano non operano bande specializzate nell’arresto degli ebrei alle dirette dipendenze dei tedeschi. Koch sembra preferire il sistema più tradizionale dei confidenti singoli, che sono numerosi e volenterosi nel denunciare e far arrestare oppositori ed ebrei. Vi sono anche i collaboratori occasionali, spesso spinti alla delazione da motivi personali.

Come a Roma però, vi sono diversi uffici di polizia e bande fasciste che diffondono il terrore tra la popolazione, e questo nonostante l’impegno del prefetto Mario Bassi, che tenta inutilmente di combattere il diffuso illegalismo prodotto dal proliferare di corpi armati autonomi in città.

Il responsabile del carcere di San Vittore è il maresciallo Leander Klimsa, che lavora con la collaborazione del maresciallo Franz Staltmayer. La ferocia di quest’ultimo rimarrà indelebilmente impresso nella memoria della città. Gli ebrei catturati sono detenuti in condizioni tremende, non di rado sottoposti a torture e orribili umiliazioni.

A Milano, tuttavia, è attiva un’ampia rete di solidarietà e aiuti, spesso gestita dal clero cattolico. Una delle organizzazioni più attive è quella messa in piedi da Fernanda Wittgens, direttrice della Pinacoteca di Brera. Wittgens gestisce un’ampia struttura di sostegno agli ebrei in fuga, soprattutto per le fughe in Svizzera. Arrestata dalla polizia fascista, viene condannata dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato a quattro anni di prigione, assieme ad alcuni complici.

Complessivamente, da Milano sono deportate 312 persone di “razza ebraica”.

Galleria

Bibliografia

Luigi Borgomaneri, Hitler a Milano. I crimini di Theodor Saevecke capo della Gestapo, s.l., Datanews, s.d.

Luigi Ganapini, Una città, la guerra. (Milano 1939-1951), Milano, Franco Angeli, 1988

Amedeo Osti Guerrazzi, Gli specialisti dell’odio. Delazioni, arresti, deportazioni di ebrei italiani, Firenze, Giuntina, 2021

Marcello Pezzetti, Il libro della Shoah italiana. I racconti di chi è sopravvissuto, Torino, Einaudi, 2009

Liliana Picciotto Fargion, Gli ebrei in provincia di Milano. 1943-1945: Persecuzione e deportazione, Milano, Provincia di Milano, 1992

 

 

Sitografia

Consulta il sito del Memoriale della Shoah di Milano

Consulta il sito della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC, Milano)

Testimonianze

Testimonianza di Gilberto Salmoni, arrestato al confine italo svizzero e portato nel carcere di San Vittore

«Da Bormio siamo andati a Tirano, dove i fascisti ci hanno consegnato alla gendarmeria tedesca, e quindi ci hanno portati in treno nel carcere di Como, ammanettati. Lì c’erano già le SS. A Como siamo rimasti qualche giorno, poi ci hanno caricati sul camion e ci hanno portato a San Vittore. A San Vittore siamo stati mandati nel raggio degli ebrei e politici, nel piano riservato agli ebrei. Era l’ultimo piano. Ci hanno fatto un interrogatorio. Eravamo preoccupati, per rivelare, sotto tortura, i nomi di quelli che ci avevano aiutato. In realtà c’è stato solo un certo numero di sberle a mio fratello e mio cognato, che s’è acchiappato una pistola in bocca con due o tre denti portati via. C’erano due che interrogavano della Gestapo: si chiamavano Klemm e Koch. Poi c’era un caporalmaggiore, era quello che temevamo di più: veramente un pezzo d’uomo, aveva una specie di bustina in testa, i capelli biondi ma non chiarissimi, gli occhi celesti. Aveva lo scudiscio. Una notte non abbiamo dormito dai lamenti di un politico, torturato, che poi l’indomani mattina hanno trovato impiccato con un fil di ferro alle sbarre, cioè suicida»,

Tratto da Marcello Pezzetti, Il libro della Shoah italiana. I racconti di chi è sopravvissuto, Torino, Einaudi, 2009, p.102


Altri contenuti

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