Molti negozianti cattolici [cioè non ebrei], specie in articoli di tessuti, mercerie, calzature, mobili ecc., sarebbero felicissimi se venissero adottate delle restrizioni al commercio degli ebrei, così vedrebbero affluire una maggiore quantità di compratori nei loro negozi. [estratto dal rapporto di un informatore del Ministero della Cultura Popolare, 1938]
Come reagiscono gli italiani alla campagna di stampa e poi alle leggi contro gli ebrei? Dare una risposta a questa domanda è estremamente difficile in quanto le fonti non permettono di avere una visione complessiva e soprattutto precisa della società italiana. L’Italia è allora una dittatura, dove non esiste stampa libera, e non sono per nulla diffusi, ancora, i sondaggi d’opinione. Gli storici devono dunque accontentarsi delle memorie personali pubblicate nel dopoguerra e dei rapporti della polizia politica fascista, che tiene sotto osservazione l’opinione pubblica attraverso una rete piuttosto fitta di informatori, che agiscono in incognito.
Le leggi sono accolte con favore da alcune categorie, tra le quali i commercianti delle grandi città e i professionisti (medici, avvocati, eccetera), che sfruttano l’occasione per liberarsi dei concorrenti ebrei. Anche nel campo della cultura le leggi sono accolte positivamente. I docenti universitari, ad esempio, ne approfittano per accaparrarsi cattedre lasciate libere dalle vittime delle leggi. I giornalisti, invece, si lanciano in campagne di stampa contro gli ebrei in modo da “farsi notare” dai dirigenti politici e quindi fare carriera. Tra i più entusiasti ci sono gli studenti universitari, considerati un’élite sociale e culturale molto curata dal fascismo, che intende utilizzarla per rinnovare i quadri dirigenti del partito. Anche in questo caso, gli studenti si sforzano di mostrarsi come entusiasti antisemiti e così attirare l’attenzione e scalare le gerarchie politiche. Ovviamente, chiunque lavori nelle organizzazioni del partito fascista non può che esprimere un giudizio, se non entusiasta, quantomeno favorevole delle nuove leggi.
Secondo i rapporti della polizia politica, a essere contrari, o almeno perplessi, nei confronti dell’emanazione delle leggi razziali, sono gli ambienti cattolici, cioè coloro che fanno della religione cattolica professata uno dei fulcri della propria identità, e magari si impegnano nell’associazionismo. La persecuzione antiebraica, infatti, viene vista con sfavore in nome della dottrina cristiana (il cristianesimo rifiuta qualsiasi forma di razzismo biologico) e in quanto diretta a colpire persone innocenti. Le gerarchie vaticane contestano anche l’ingerenza dello Stato fascista nella politica matrimoniale, dato il divieto delle unioni tra cattolici ed ebrei contenuto nella legislazione razziale.
È molto probabile, comunque, che la stragrande maggioranza degli italiani rimanga fondamentalmente indifferente dinanzi all’emanazione e alle conseguenze delle leggi razziali. Disabituati, da sedici anni di regime fascista, al pensiero critico, e obbligati a mantenere nascosta ogni forma di dissenso, gli italiani accolgono la persecuzione degli ebrei come una delle tante “campagne” imposte da Mussolini al paese. Questa campagna, peraltro, a differenza di altre, non tocca personalmente la gran parte dei sudditi del Regno. Gli ebrei sono una sparuta minoranza, presente solo in alcune delle grandi città. In pratica, sono invisibili e sono pochi gli italiani che hanno rapporti diretti con loro. Questa indifferenza costituisce, per chi è colpito dalle leggi, un ulteriore aggravamento di una situazione difficile, poiché favorisce l’esclusione non solo dall’economia e dalle istituzioni, ma anche dalla società. Successivamente, contribuirà in modo significativo allo sterminio degli ebrei durante l’occupazione tedesca.