L’antiebraismo è stato sempre presente in alcune frange del fascismo. Giovanni Preziosi, un ex prete e giornalista, pubblica sin dal 1921 l’edizione italiana dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, un classico della propaganda antiebraica. Telesio Interlandi, su «Il Tevere», il giornale che dirige, dà spazio ad articoli antiebraici fin dal 1934. Tuttavia, questi personaggi hanno scarso potere e quasi nessuna influenza sul partito fascista e sull’opinione pubblica. Mussolini consente di continuare tale propaganda ma non dà loro né visibilità né prestigio.

A partire dal 1937, la politica del regime cambia con la pubblicazione del libro di Paolo Orano Gli ebrei in Italia. Il pamphlet di Orano (un intellettuale piuttosto importante, all’epoca) attacca gli ebrei accusandoli di essere legati al sionismo e quindi non sufficientemente italiani e fascisti. Il libro è un prodotto di infima qualità intellettuale, ma serve a far nascere in Italia il dibattito sulla “questione ebraica”, che è d’attualità in Europa a causa delle notizie che provengono dalla Germania nazista. Nel 1938 Preziosi dà alle stampe una nuova edizione dei Protocolli con l’introduzione del filosofo antisemita Julius Evola.

Fino all’estate del 1938 il dibattito rimane impostato su toni piuttosto civili. Ad esempio, Mussolini dà spazio, su «Il Popolo d’Italia», quotidiano di regime, a lettere di ebrei in risposta alle tesi di Orano. Nel 1937 è stato pubblicato, sempre «in risposta a Paolo Orano», il volume Noi Ebrei di Abramo Levi, pseudonimo del giornalista Alfredo De Donno. Quest’ultimo, in realtà, non è ebreo ed è più che altro interessato ad alimentare il dibattito e la polemica antisemita in Italia.

A partire dall’estate del 1938 la propaganda fascista si scatena con ogni mezzo disponibile. Il regime deve convincere l’opinione pubblica della giustezza e della necessità delle leggi discriminatorie, trasformando un intero popolo in antisemita nel giro di pochi mesi. A questo scopo la propaganda propone degli stereotipi che vanno oltre l’antigiudaismo tradizionale di alcuni settori del mondo cattolico (peraltro minoritari), per arrivare a un antiebraismo di tipo moderno, cioè biologico. Non sono la cultura o la religione mosaica a essere attaccate, ma gli ebrei in quanto “razza”, indicati come pericolosi e nemici del popolo italiano, che improvvisamente scopre di appartenere a una “razza ariana mediterranea”.

Nel luglio 1938 il cosiddetto Manifesto degli scienziati razzisti, pubblicato il giorno 15 sul «Giornale d’Italia», oltre a richiedere agli italiani di dichiararsi «francamente razzisti», sostiene che gli «ebrei non appartengono alla razza italiana».

Nell’agosto successivo esce il primo numero del periodico «La Difesa della razza», diretto da Telesio Interlandi. Si tratta di un bisettimanale riccamente illustrato che mira a divulgare i principi razziali del fascismo, indicando negli africani e negli ebrei le “razze inferiori” con le quali gli “ariani” non devono mescolarsi.

A partire dall’autunno del 1938, dopo l’emanazione delle prime leggi antiebraiche, la propaganda si fa sempre più ossessiva e pervasiva.

I quotidiani, oltre a pubblicare articoli apertamente antiebraici, devono dare risalto a ogni fatto di cronaca che veda coinvolti degli ebrei quali responsabili. Nei mesi successivi si moltiplicano, sugli organi di stampa, le fotografie di esercizi commerciali che espongono il cartello “negozio ariano”; vengono prodotte vignette e caricature nelle quali gli ebrei sono raffigurati con i classici stereotipi dell’antisemitismo; sono tradotti e largamente diffusi film di propaganda antiebraica nazista come Süss l’Ebreo.

È molto difficile capire se e quanto questa campagna mediatica sia efficace. In mancanza di dati certi, le memorie delle vittime danno un quadro generale di crescente freddezza della popolazione nei confronti degli ebrei. Nelle carte di polizia sono registrati alcuni episodi di aggressioni fisiche e di insulti, sebbene si tratti di casi isolati.

Almeno fino alla guerra l’antiebraismo viene condiviso dagli studenti e dai fascisti più fanatici, che lo intendono come un modo per “fare politica” nel contesto di uno Stato che, essendo totalitario, impedisce ogni espressione autonoma del pensiero. Inoltre, scrivere articoli od organizzare iniziative antiebraiche, permette a gerarchi di provincia e a intellettuali di scarso successo di mettersi in mostra agli occhi di dirigenti nazionali e locali, e così “fare carriera” con pochi sforzi.

Per gli ebrei, soprattutto per chi ha servito nell’esercito o nel partito, essere definiti “anti-nazionali” è un’offesa ingiustificabile e irrimediabile. Per quanto non numerosi, i casi di suicidio sono anche un modo per denunciare un’ingiustizia e una ferita morale intollerabili. Alcune migliaia di ebrei italiani comprendono che il clima è divenuto molto pesante e non può che peggiorare. Decidono dunque di emigrare prima che dalle parole si passi ai fatti. Tuttavia, la gran parte di loro, non potendo o non volendo andare via, è costretta a subire gli insulti quotidiani senza poter reagire.

Galleria

Bibliografia

Marco Avagliano, Marco Palmieri, Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia. Diari e lettere 1938-1945, Einaudi, Torino, 2011

Francesco Cassata, “La Difesa della razza”. Politica, ideologia e immagine del razzismo fascista, Torino, Einaudi, 2008

La propaganda antisemita nazista e fascista, a c. di M. Pezzetti e S. Berger, Roma, Gangemi, 2017

Valentina Pisanty, Educare all’odio. La Difesa della razza (1938-1943), Roma, La Biblioteca di Repubblica, 2018

Sitografia

Leggi un articolo di Michele Sarfatti su La persecuzione degli ebrei in Italia, dal sito del Ministero della Pubblica Istruzione

Testimonianze

«Ho una raccomandazione caldissima da farvi; di non rattristarvi troppo per l’offensiva antisemita in corso, ne va della vostra salute che è cosa per me supremamente preziosa. Mi rendo benissimo conto dei vostri sentimenti, ma bisogna dominarli; bisogna considerare i fatti nella loro brutta materialità, non lasciarsi offendere dalla loro giustificazione; sul terreno logico tutto ciò è assurdo, contraddittorio, quasi ridicolo per la sua inconsistenza; gli uomini bisognosi di chiarezza logica si angustieranno di non poter replicare e confutare; ma non si tratta di convincere nessuno».

 

Lettera dal carcere dell’antifascista Vittorio Foa ai familiari, 29 luglio 1938, in Marco Avagliano, Marco Palmieri, Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia. Diari e lettere 1938-1945, Einaudi, Torino, 2011, p. 16.


Altri contenuti

Leggi l’articolo del giornale degli studenti universitari «Roma fascista» (dicembre 1938), sul boicottaggio dei negozi ebrei.