.. Il fascismo e gli ebrei dalle origini ai primi anni 30

Alla sua nascita, nel 1919, il fascismo non ha alcuna posizione riguardo agli ebrei, né ha alcuna idea razzista. Il primo programma del movimento non si esprime su questi argomenti. Dunque, il fascismo non nasce antisemita, a differenza del nazismo tedesco.

Mussolini ha fatto degli accenni contro “l’ebraismo mondiale” in un paio di articoli del 1919, ma la politica ufficiale del suo movimento non è schierata contro gli ebrei. Alcuni di loro, anzi, vedono nel fascismo una forza “sana”. Molti hanno combattuto con coraggio nella Prima guerra mondiale e il fascismo, che dice di voler difendere i diritti dei combattenti ed esalta il ruolo dell’Italia nel conflitto, è considerato positivamente. Inoltre, la borghesia ebraica, come tutta quella italiana, vede con grande paura l’affermarsi dei partiti di massa socialista e comunista e teme la rivoluzione. Il fascismo viene considerato uno strumento per impedire che ciò accada e mettere “al loro posto” gli operai e i contadini.

Così, alcuni ebrei partecipano alla marcia su Roma, la dimostrazione armata che porta al potere Mussolini nell’ottobre del 1922. Alcuni, addirittura, muoiono durante gli scontri con gli antifascisti o la polizia, ed entrano così nel pantheon dei “martiri fascisti”, celebrati dal regime durante gli anni del governo. Aldo Finzi, cittadino ebreo eroe della Prima guerra mondiale, diviene sottosegretario al ministero dell’Interno. Non sono pochi, però, gli ebrei antifascisti, iscritti ai partiti socialista e comunista. Tra loro, Giuseppe Emanuele Modigliani e Umberto Terracini.

Quando il governo fascista, tra il 1925 e il 1926, si trasforma in una vera e propria dittatura, alcuni ebrei, specialmente quelli più colti, si avvicinano all’antifascismo. Lo storico Giorgio Levi Della Vida è, ad esempio, uno dei sottoscrittori del Manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Benedetto Croce. Nel 1931, quando il regime impone ai docenti universitari di giurare fedeltà al regime, soltanto undici rifiutano di piegarsi all’imposizione, e tra questi quattro sono ebrei:

Giorgio Errera, docente di chimica presso l’università di Pavia

Giorgio Levi Della Vida, docente di lingue semitiche presso l’università di Roma

Fabio Luzzatto, docente di diritto civile presso l’università di Macerata

Vito Volterra, docente di fisica matematica presso l’università di Roma

Insomma, l’atteggiamento degli ebrei è, come sempre, difficilmente distinguibile da quello degli altri italiani. Alcuni aderiscono, molti sono indifferenti, alcuni sono antifascisti.

Nel febbraio del 1929 il governo di Mussolini firma i cosiddetti “Patti lateranensi” con la Chiesa cattolica. Questi trattati, costituiti da vari accordi, danno piena applicazione all’articolo 1 dello Statuto Albertino, che prevede che la “religione cattolica, apostolica e romana” sia la sola religione dello Stato. Si tratta di un principio che i governi liberali, dal Risorgimento in poi, non hanno mai applicato, considerando tutte le religioni uguali dinanzi alla legge. Una legge successiva, il 24 giugno 1929, dichiara poi che tutte le altre religioni sono soltanto “culti ammessi”.

Nel 1930 il governo emana la cosiddetta “legge Falco“, cioè la normativa che regola i rapporti con le comunità ebraiche, dichiarate enti giuridici (cioè enti riconosciuti dalla legge). All’Unione delle comunità israelitiche sono attribuiti poteri di regolamentazione della vita interna delle comunità locali. La legge è accolta con grande favore dalla maggioranza degli ebrei italiani, e tuttavia essa comporta l’accettazione del controllo governativo sulle comunità, la limitazione dell’autonomia e della democrazia interna, «accentuando anche nella nuova Unione delle comunità la concentrazione del potere decisionale negli organismi direttivi». Lo Stato ha il potere di istituire o sopprimere le comunità, e l’elezione del loro presidente, così come la nomina del rabbino capo, deve essere approvata dal ministro dell’Interno, che ha anche il controllo amministrativo sulle comunità stesse. [Collotti, Il fascismo e gli ebrei, p. 20]

Nelle strutture del regime, gli ebrei che ricoprono cariche di rilievo sono numerosi. Tra loro, Guido Jung, ministro delle finanze dal 1932 al 1935, e tra i promotori del più importante ente per l’industrializzazione italiana, l’IRI (Istituto per la ricostruzione industriale).

Galleria

Bibliografia

Enzo Collotti, Il fascismo e gli ebrei, Roma-Bari, Laterza, 2003

Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani durante il fascismo, Torino, Einaudi, 1961

Franca Tagliacozzo, Bice Migliau, Gli ebrei nella storia e nella società contemporanea, Firenze, La Nuova Italia, 1993