
La zona d’operazione Litorale Adriatico (Operationszone Adriatisches Küstenland, OZAK) è costituita ufficialmente il 1° ottobre 1943, sulla base dell’ordinanza di Hitler del 10 settembre precedente. È formata dalle province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana (annessa all’Italia nel maggio del 1941). La comanda il Gauleiter (capo di una suddivisione amministrativa del Reich) della Carinzia Friedrich Rainer. La zona passa dunque completamente sotto il comando tedesco, anche se continuano a esservi un’amministrazione italiana, con il prefetto Bruno Coceani, un federale fascista e delle forze autonome di polizia, che però possono operare solo su ordine nazista.
Nella zona dell’OZAK vengono inviati i migliori specialisti della persecuzione antiebraica. Il comandante generale delle SS e della polizia è Odilo Globočnik, nato a Trieste nel 1904 da genitori di origine slovena. Dopo essere stato vice Gauleiter di Vienna, Globočnik è stato capo della polizia e delle SS del distretto di Lublino, in Polonia, dove ha gestito l’operazione Reinhard nell’estate del 1942. In questa operazione vengono deportati circa 1,5 milioni di ebrei polacchi nei campi di sterminio di Belzec, Treblinka e Sobibor.
Globočnik porta con sé i suoi più stretti collaboratori. Tra questi spiccano Christian Wirth, che ha diretto gli istituti di eutanasia dell’”azione T4”, predisposti per l’uccisione di malati mentali e disabili, e Franz Stangl, già direttore dei campi di sterminio di Treblinka e di Sobibor.
Assieme a questi specialisti in operazioni omicide sono presenti le forze repressive fasciste. In particolare, a Trieste opera l’ispettorato speciale di pubblica sicurezza per la Venezia Giulia, diretto dal commissario Giuseppe Gueli. L’ispettorato viene costituito nel 1942 per combattere la Resistenza slovena e spicca per la violenza dei suoi metodi. Dopo l’occupazione nazista, continua a servire agli ordini della Repubblica Sociale Italiana, sempre con gli stessi metodi. Anche se la priorità dell’Ispettorato è la repressione della Resistenza, nella sua rete cadono anche degli ebrei.
Oltre alla repressione della lotta partigiana, l’Ispettorato aveva tra i suoi compiti anche il prelevamento degli ebrei da deportare in Germania: gli agenti si presentavano in casa delle persone da arrestare, in genere in seguito a denunce di solerti vicini di casa o bottegai della zona (va ricordato che i nazisti ricompensavano con 10.000 lire – dell’epoca – i delatori per ogni denuncia che portava ad un arresto), i prigionieri venivano portati in via Bellosguardo e di là “smistati” in Risiera. [Cernigoi, La “Banda Collotti”, p. 46].
La repressione anti partigiana e la persecuzione antiebraica hanno il loro luogo centrale nella Risiera di San Sabba, un edificio costruito per la pilatura del riso e trasformato nell’ottobre 1943 in campo di concentramento dalle autorità di polizia tedesche. All’interno del lager di San Sabba transitano migliaia di antifascisti, partigiani ed ebrei trasferiti poi nei campi in Germania e nella Polonia occupata, ma vi vengono anche uccise un numero imprecisato di persone. Le stime vanno dalle centinaia alle migliaia. Nella Risiera, comandata da Christian Wirth fino alla sua morte (viene ucciso dai partigiani nel maggio 1944), e poi da August Dietrich Allers, esiste anche un forno crematorio per la distruzione dei corpi. Le ceneri dei cadaveri cremati vengono poi raccolte in sacchi e gettate in mare. La presenza del forno rende la Risiera un campo di eliminazione, l’unico presente sul territorio italiano. Il lager rimane in funzione fino alla fine della guerra.
Durante l’occupazione tedesca vengono deportati nei campi di sterminio circa 1.250 ebrei del “Litorale Adriatico”.