
La prima riunione del governo della Repubblica Sociale Italiana si tiene alla Rocca delle Caminate, la residenza privata del duce in provincia di Forlì, il 28 settembre 1943. Mussolini annuncia ai suoi ministri che entro breve tempo un’assemblea costituente darà una forma giuridica al nuovo stato.
L’assemblea, più volte annunciata, non verrà mai riunita, e nessuna costituzione varrà mai approvata.
L’unica assemblea nazionale del partito fascista repubblicano si tiene a Verona, il 14-15 novembre 1943. Al congresso partecipano i dirigenti di quasi tutte le federazioni del partito, sotto la presidenza di Alessandro Pavolini, segretario nazionale del partito fascista repubblicano (PFR). Dopo un lungo intervento introduttivo dello stesso Pavolini, la riunione si svolge in maniera caotica: non esiste, infatti, né un ordine del giorno né un regolamento per i lavori. I vari federali si alternano sul palco degli oratori presentando lamentele, richieste, proposte e ordini del giorno.
Uno dei punti su cui si insiste, anche se non in maniera particolare, è l’antiebraismo. Pavolini, nella sua introduzione, dice
Come Voi sapete si sta in questi giorni provvedendo al prelievo dei patrimoni ebraici. Si tratta, non per fare della rettorica, appunto di sangue succhiato al popolo italiano. È giusto che questo sangue ritorni al popolo. Mi pare non vi sia migliore via, per farlo tornare al popolo, che quella di provvedere ai bisogni dei sinistrati dai bombardamenti, di coloro che furono colpiti dalla guerra, la cui principale responsabilità risale agli ebrei. [fonte: qui]
Dopo aver toccato numerosi altri argomenti, il segretario torna sull’antiebraismo e precisa:
Per quel che riguarda gli ebrei la direzione del partito propone che in questa materia si adotti una formula che non lasci campo ad equivoci e che dica che gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri che durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica. […] Con tutte le conseguenze, per chi ha studiato questo problema, che questa dichiarazione comporta, perché è la dichiarazione che taglia la testa al toro […]; niente discriminazioni. [Stefanori, “Niente discriminazioni”: Salò e la persecuzione degli ebrei]
Tuttavia, Pavolini non è il solo a puntare su questo particolare tema. Il commissario federale di Perugia chiede, durante lo stesso congresso :
Altra questione: gli ebrei e gli internati che ancora vivono nella provincia in piena libertà di azione. Occorre un provvedimento di polizia perché tutti gli ebrei e gli internati siano trasportati in un’altra regione, perché ove si trovano attualmente impediscono l’azione della autorità di polizia. Cosa si aspetta a prendere dei provvedimenti? [Viganò, Il congresso di Verona, pp.142-144].
La “questione ebraica” viene liquidata dal congresso di Verona sulla base di questi pochi accenni. Il congresso approva per acclamazione un programma in diciotto punti che verrà poi ricordato come Carta o Manifesto di Verona, e che rappresenta l’unica “carta costituzionale” della RSI. Al punto sette, essa recita, appunto:
Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica
Tale determinazione rappresenta una novità gravida di conseguenze per gli ebrei italiani: infatti, se fino ad allora essi sono stati cittadini italiani, anche se con enormi limitazioni alle proprie libertà personali, da quel momento diventano ufficialmente “nemici” dello stato in guerra, perdendo ogni diritto di cittadinanza.