Il primo strumento complessivo di cui il Regno d’Italia si dota per colpire i crimini del fascismo viene emanato subito dopo la liberazione di Roma, ed è il regio decreto legge luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159. Il secondo articolo del decreto istituisce l’alta corte di giustizia, che ha il compito di giudicare i maggiori responsabili del regime, «colpevoli di aver annullate le garanzie costituzionali, distrutte le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesse e tradite le sorti del Paese condotto all’attuale catastrofe». Costoro vanno puniti con l’ergastolo o addirittura con la pena di morte.
Chi, invece, ha collaborato col «tedesco invasore» dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, deve essere giudicato dalle corti di assise ordinarie (CAS), istituite il 22 aprile 1945, in previsione della fine dell’occupazione tedesca e della conclusione della guerra (decreto legislativo luogotenenziale n. 142).
Per quanto riguarda la persecuzione degli ebrei, non è previsto nessun provvedimento particolare. Chi ha denunciato o arrestato un ebreo è considerato dalla giustizia italiana un collaborazionista, e come tale giudicato. L’unico processo che ha un certo risalto tra l’opinione pubblica è quello contro la “banda” Cialli Mezzaroma, che a Roma ha collaborato con i nazisti con l’unico scopo di denunciare e arrestare ebrei.
Non esiste un dato definitivo, valido per l’intero territorio nazionale, sul numero di processi istruiti dalle CAS. Ci è d’aiuto uno studio sulla situazione del Piemonte, le cui 11 CAS istruiscono 2.400 procedimenti contro 3.600 persone. Le condanne a morte comminate sono 203, gli ergastolo 23, i condannati a più di 20 anni di carcere 319, mentre 853 sono coloro che devono scontare una pena compresa tra i 5 e i 20 anni.
Secondo i dati riportati dallo storico Mirco Dondi, fino al novembre 1945 in tutta Italia sono complessivamente rinviate a giudizio 21.454 persone, delle quali il 27,6% circa viene condannato. Le condanne a morte sono tra le 500 e le 550, 91 delle quali eseguite.
Con il decreto del 5 ottobre 1945, n. 625, le CAS vengono soppresse. Il compito di giudicare i fascisti passa alle sezioni speciali delle corti di assise e ai tribunali militari. Poi, il 22 giugno 1946, arriva l’amnistia, che in pratica cancella tutti i reati politici commessi durante la guerra. Rimangono esclusi dal provvedimento soltanto le stragi, gli omicidi e le «sevizie particolarmente efferate», nonché i reati commessi a scopo di lucro. Grazie all’amnistia e ai successivi provvedimenti di clemenza, sono pochissimi i collaborazionisti che rimangono in carcere oltre il 1952.
L’amnistia Togliatti suggellò il fallimento dell’epurazione e fu la disposizione chiave per dare un colpo di spugna alle responsabilità fasciste. L’attenzione ai «casi eccellenti» ha oscurato la mole immersa dell’iceberg e ingenerato l’erronea convinzione che a beneficiarne fossero necessariamente gli alti gerarchi e criminali. In realtà la massa degli amnistiati aveva commesso minimi reati e, in questi casi, il ritorno in seno alle famiglie costituì una misura opportuna. [Franzinelli, L’amnistia Togliatti, p. 3].
Le sezioni speciali, comunque, continuano a operare fino al 1947, giudicando quei fascisti che si sono macchiati di delitti non coperti dall’amnistia. Grazie, però, soprattutto, all’opera della suprema corte di Cassazione, che cancella moltissime delle condanne o le riduce a pene inferiori, il pericolo di finire in carcere, anche per i fascisti più compromessi, è praticamente nullo.