Con l’ingresso e la permanenza delle truppe napoleoniche in Italia, tra il 1796 e il 1815 (fatta eccezione per il periodo tra il 1798 e il 1799-1800, quando gli austriaci riprendono il controllo delle regioni italiane approfittando della campagna napoleonica in Egitto), per gli ebrei si apre un breve periodo definito “prima emancipazione”. Viene concesso loro di uscire dai ghetti (in alcuni casi, come a Venezia, definitivamente), non sono più costretti a svolgere solo pochi e svantaggiosi lavori, possono acquistare beni immobili, accedere alle università, entrare a far parte delle pubbliche amministrazioni e dell’esercito napoleonico, nonché beneficiare di molte altre libertà precedentemente sconosciute.
A seguito della sconfitta di Napoleone a Waterloo (giugno 1815) e del Congresso di Vienna (1814-1815) comincia l’età della Restaurazione, durante la quale le monarchie di tutta Europa tentano appunto di “restaurare” l’ordine politico, sociale e giuridico nelle forme precedenti all’ondata rivoluzionaria e alle conquiste delle armate francesi. In Italia, la maggior parte degli ebrei è costretta a tornare alla reclusione nei ghetti o, comunque, a vivere un rapporto di subalternità con le monarchie e con la Chiesa.
Ho trovato, a ragion d’esempio, che sul fatto degli israeliti la civiltà cristiana faceva questo strano sillogismo. La fede cristiana mi ordina di amare senza distinzione gli uomini. Gli ebrei? Non sono uomini. Dunque io li odio, li perseguito e li tormento. Lo scopo del breve scritto, che offro al pubblico, è diretto a cooperare per quanto me lo concedono le mie povere forze, alla restaurazione del detto sillogismo; a rimetterne i termini nella loro e vera e razionale relazione. [D’Azeglio, Sull’emancipazione civile degli Israeliti, p. 2]
Consapevoli che ogni speranza di emancipazione, negata loro ostinatamente dai governi dell’antico regime, possa venire solo dai “novatori”, gli ebrei italiani partecipano all’attività cospirativa mazziniana, ai moti del 1820-21 e del 1830-31, alla Repubblica romana del 1848, per la cui difesa versano il sangue, alle guerre del Risorgimento, alla presa di Roma il 20 settembre 1870, quando è proprio un ufficiale ebreo piemontese a dare l’ordine di aprire il fuoco. Tuttavia, l’emancipazione, ottenuta dagli ebrei piemontesi insieme ai valdesi nel 1848, e poi dagli ebrei degli altri Stati italiani man mano che si compie il processo di unificazione, non è soltanto una svolta radicale nel percorso delle comunità ebraiche che popolano la penisola. Essa è anche e soprattutto un momento qualificante della costruzione del nuovo Stato italiano, e lungi dal rappresentarne una sorta di conseguenza marginale, ne segnerà profondamente il percorso, divenendone, con il connesso principio della tolleranza di tutti i culti religiosi e poi con quello dell’uguaglianza dei culti di fronte alla legge, uno dei pilastri basilari.