
Il 23 marzo 1944 un gruppo di partigiani dei GAP (Gruppi di azione patriottica) romani attacca un reparto della Ordnungspolizei (polizia d’ordine) che sta sfilando per via Rasella, nel centro di Roma. L’operazione si sviluppa dapprima con l’esplosione di una bomba ad alto potenziale, nascosta in un carretto della spazzatura, innescata da Rosario Bentivegna, poi con il lancio di bombe a mano da parte di altri gappisti.
Sul campo rimangono 32 persone (un altro milite morirà nelle ore successive) e numerosi feriti, mentre nessun partigiano viene colpito o catturato. Si tratta della peggiore sconfitta subita dai nazisti durante tutto il periodo dell’occupazione romana. Non appena arrivato sul posto, il generale Kurt Mälzer, comandante della piazza di Roma, minaccia di distruggere l’intero quartiere per rappresaglia, ma viene fermato dal console Moellhausen e da altri ufficiali presenti sul luogo dell’attentato.
L’ordine di compiere una strage di civili come rappresaglia viene dato dal comandante della XIV armata, responsabile del territorio, il generale Eberhard von Mackensen. Questi dispone l’uccisione, entro 24 ore, di dieci italiani per ogni poliziotto caduto. L’ordine viene impartito al comandante del reparto attaccato, che però rifiuta di eseguirlo. A questo punto il responsabile della polizia e delle SS a Roma, il tenente colonnello Herbert Kappler, è incaricato della rappresaglia. Kappler inserisce nella lista delle vittime 330 persone definite “degne di morte”, ovvero prigionieri politici e detenuti per reati comuni. Non avendo a sua disposizione abbastanza prigionieri, si rivolge al questore di Roma, Pietro Caruso, e al comandante di un corpo speciale di polizia, Pietro Koch, perché gli procurino altri nominativi.
Kappler, inoltre, interpella le bande specializzate nella caccia agli ebrei. Nella notte tra il 23 e il 24 marzo i suoi collaboratori italiani arrestano, nella zona del ghetto, almeno quindici persone, che vengono portate nel carcere di Regina Coeli e poi uccise insieme agli altri alle Fosse Ardeatine, cave di pozzolana situate sulla via Ardeatina, a pochi chilometri dal centro di Roma. L’eccidio inizia alle ore 15:30 del 24 marzo.
In totale, sulle 335 vittime – cinque in più rispetto al previsto, per un errore di calcolo – del massacro delle Fosse Ardeatine, 76 sono ebrei [fonte: Archivio storico della Comunità ebraica di Roma], alcuni dei quali già arrestati nei giorni precedenti alla strage, e altri presi subito dopo.
Dopo l’eccidio, il comando tedesco emette il seguente comunicato:
Nel pomeriggio del 23 marzo 1944, elementi criminali hanno eseguito un attentato con lancio di bomba contro una colonna tedesca di Polizia in transito per Via Rasella. In seguito a questa imboscata, 32 uomini della Polizia tedesca sono stati uccisi e parecchi feriti. La vile imboscata fu eseguita da comunisti-badogliani. Sono ancora in atto indagini per chiarire fino a che punto questo criminoso fatto è da attribuirsi ad incitamento anglo-americano. Il Comando tedesco è deciso a stroncare l’attività di questi banditi scellerati. Nessuno dovrà sabotare impunemente la cooperazione italo-tedesca nuovamente affermata. Il Comando tedesco, perciò, ha ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci criminali comunisti saranno fucilati. Quest’ordine è già stato eseguito. [Portelli, L’ordine è già stato eseguito, p. 3]