Con l’ordine di polizia n. 5, del 30 novembre 1943, tutti gli ebrei italiani, con l’eccezione dei “misti” (sposati con non ebrei o figli di matrimoni misti), e degli anziani, vengono rinchiusi in campi di concentramento provinciali. Teoricamente, quindi, sono rinchiusi in campi italiani controllati dalle autorità fasciste; inoltre, anche se considerati nemici della RSI, gli ebrei sono ancora cittadini italiani.
Tuttavia, il 20 dicembre il comandante della polizia tedesca in Italia impone al questore di Bologna la consegna degli ebrei arrestati. Nel gennaio successivo, richieste di questo genere arrivano ad altre questure italiane.
I questori chiedono quindi al ministero dell’interno della RSI indicazioni sul da farsi. Da una parte, le pressioni tedesche sono molto forti, ma dall’altra queste riguardano cittadini italiani, la cui sorte, la morte nei campi di concentramento, è cosa nota. Il capo della polizia e il ministro dell’Interno si consultano con Mussolini: non si hanno documenti relativi a questi colloqui, ma tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio 1944 gli ebrei vengono consegnati ai nazisti. Questi li concentrano, in un primo momento, nelle carceri o nel campo di concentramento di Fossoli, del quale hanno preso il controllo proprio in quel periodo. Da Fossoli, e successivamente dal campo di Bolzano Gries, gli ebrei vengono deportati nei campi di sterminio. Dal febbraio 1944 i campi provinciali vengono svuotati. L’ultimo campo a essere chiuso è quello di Vò Vecchio, presso Padova, nel luglio del 1944.
Da Bormio siamo andati a Tirano, dove i fascisti ci hanno consegnato alla gendarmeria tedesca, e quindi ci hanno portato in treno nel carcere di Como, ammanettati. Lì c’erano già le SS. A Como siamo rimasti qualche giorno, poi ci hanno caricati sul camion e ci hanno portati a San Vittore. […] Quando ci hanno portato via, ci hanno stipati una trentina su un camioncino e dieci su un’automobile, più i guardiani. Mi ricordo che io, per non farmi vedere giù di morale, avevo una faccia sorridente, a tutte labbra, e quel caporale mi ha detto: «non riderà più per molto!». Ci hanno portato alla stazione, all’interno di un sotterraneo. Eravamo la famiglia tutta insieme. Il viaggio è stato disastroso: almeno venti ore per andare da Milano a Fossoli. [testimonianza di Gilberto Salmoni in Pezzetti, Il libro della Shoah italiana, pp.102-103].
È plausibile che tutta questa operazione – l’internamento in campi provinciali e la successiva consegna ai tedeschi – sia stata organizzata sulla base di un accordo, stipulato all’inizio del febbraio 1944, tra le autorità di occupazione e il governo della RSI. Non vi sono documenti che lo provino in maniera inconfutabile, ma la successione degli avvenimenti sembra lasciare pochi dubbi.
Lo svolgersi dei fatti […] consente […] di delineare un’ipotesi che, pur rimanendo priva di una vera e propria «certificazione» documentaria, ha la caratteristica di essere l’unica coerente con tutti gli avvenimenti e con tutti i documenti noti: in un momento probabilmente posteriore ai documenti berlinesi [del dicembre 1943] […] e sicuramente anteriore al 6 febbraio 1944, i governi del Terzo Reich e della RSI pervennero a un accordo per la consegna ai tedeschi e la conseguente deportazione (e uccisione) degli ebrei arrestati dagli italiani. [Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista, p. 263]